È passato più di un lustro dal momento in cui ho inaugurato il mio primo blog di viaggi in lingua inglese. In quei giorni, nutrivo l’ambiziosa, seppur un po’ ingenua, speranza di far conoscere al mondo luoghi meno battuti, spronando turisti stranieri a esplorarli. Il termine “overtourism” iniziava appena a farsi strada nel mondo del giornalismo, ma non aveva ancora conquistato l’immaginario collettivo.
Senza dubbio, il mio blog, ormai defunto, non è riuscito a contribuire in alcun modo alla ridistribuzione dei flussi turistici nel Sud dell’Europa. Anzi, le cose sono andate solo peggiorando. Se in passato il sovraffollamento turistico sembrava essere un problema concentrato principalmente in città come Venezia, Firenze, Amsterdam e Barcellona, oggi l’impatto dell’esplosione del turismo urbano si fa sentire in quasi tutte le città di una certa rilevanza economica o culturale.
Centri storici si svuotano dei loro residenti, facendo spazio a negozi che vendono souvenir discutibili e a bar alla moda dove si gusta l’aperitivo locale. Le vie pedonali sono congestionate, trasformando le città in veri e propri luna-park che perdono la propria unicità. Questo fenomeno è qualcosa che ho osservato da vicino qui a Madrid. Escludendo la parentesi Covid, gli ingressi nella città sono aumentati in modo esponenziale negli ultimi anni, trasformando ancor di più una passeggiata attorno a Puerta del Sol, che ho sempre cercato di evitare, in una vera e propria corsa agli ostacoli tra turisti e venditori ambulanti.
Questo mi ha portato a interrogarmi sul significato di scrivere un blog per promuovere il turismo, un’attività che sembra inevitabilmente portare alla distruzione dei luoghi che dovrebbe celebrare. E se anche i luoghi meno noti diventassero famosi, non ne verrebbe compromessa la loro autenticità?
Negli ultimi vent’anni, viaggiare è diventato un simbolo di status sociale, una tendenza amplificata dall’evoluzione dei social media. Quindici anni fa, bastava condividere un album delle vacanze in Liguria, ma oggi ci troviamo a osservare esibizioni di cosmopolitismo culinario con foto di sperimentazioni gastronomiche in Colombia. Questo mi ha spinto a riflettere su quanto anch’io potrei essere vittima di questo fenomeno, chiedendomi se, millantando le mie esperienze, non stia, in fondo, costruendomi una sorta di immagine sociale.
La risposta é ovviamente sí, sono figlia del mio tempo e da questo condizionata.
Ne é nata una crisi nella mia scrittura, ma dopo un periodo di pausa, mi sono resa conto di voler ancora scrivere e raccontare il luogo in cui vivo. Per questo sono ancora qui con la volontà di creare ancora contenuti, seguendo la mia ispirazione e secondo le mie esperienze. Viaggiare resta una delle mie attività preferite ed é un po’ ipocrita volerlo rinnegare. Quindi rimarranno in questo blog i consigli di viaggio, ma anche articoli su come farlo in maniera piú sostenibile. E poi ci sarà dell’altro, nel tentativo di voler raccontare Madrid e la Spagna (e forse anche qualcos’altro) sotto diverse dimensioni.